giovedì 30 ottobre 2008

io

I primi colori che mi appassionarono furono i primari: il giallo, il blu, il rosso, il bianco, il nero.
Avevo circa 6 anni, e quei colori appartenevano ad oggetti che non rivedo più chiaramente, come rivedo, invece, i colori.
Sono nato al mare, ed ho vissuto gran parte della mia infanzia nell’appartamento di mia nonna, benché risiedessi nella periferia del paese.
Lei ha sempre abitato una casa di fronte alla spiaggia; gli unici elementi tra me e quella dorata distesa di sabbia erano la via sottostante ed i binari della ferrovia.
Situazioni di passaggio, di velocità, strumenti di comunicazione.
Sebbene interessanti, le attrazioni non erano queste; queste lingue percorse, interponevano solo una netta distanza tra la mia vita terrena ed i miei sogni di ragazzino affascinato dalle emozioni.
Vivevo quei luoghi d’inverno col naso appoggiato al vetro della finestra, d’estate col mento alla balaustra del balcone.
Com’era affascinante poter percepire i molteplici cambiamenti di quella natura marina che tanto era nel mio animo.
Divoravo le immagini invernali con malinconia e solitudine, le fotografavo nel dopopranzo prima dei compiti, le dormivo nelle notti dove l’unico segnale era il rumore delle onde.
Percepivo orizzonti incresparsi e nuvole modellare il cielo come argilla in quelle stagioni cosi fredde e distanti.
Colori e forme che cambiavano con esasperata velocità.
Tonalità ricorrenti di grigi ed azzurri si mescolavano a schizzi di giallo e verde.
Sognavo su quel vetro con attenzione e passione, con distrazione e malinconia.
L’estate diveniva allora momento tanto desiderato in quell’attesa.
Un’attesa indecifrabile, come a voler rimanere cosi per sempre, senza raggiungerla mai.
Ricordo con gioia il mutare delle luci e delle ombre del cielo e dell’acqua.
Chilometri di costa che lentamente prendevano vita ed iniziavano a colorarsi.
I quattro mesi di stagione, da fine maggio a fine settembre, erano, per i miei occhi febbricitanti di gioia, una tavolozza colorata dove poter imbrattare le mani.
Ogni oggetto celava in se la meraviglia della vita, ogni movimento raccoglieva e nascondeva in se le dinamiche di una rinascita.
L’estate è sempre appartenuta al ciclo vitale del mio corpo, così come l’acqua del mare ed il cielo alle mie emozioni.
Gran parte della mia produzione pittorica è direttamente legata alle personalità dominanti che distinguono questi due elementi della natura; passione, colore, imprevedibilità, mutevolezza.
Ho sempre creduto in una produzione pittorica distaccata dalla forma e strettamente legata all’impulso nella manifestazione del gesto, all’atto stesso che conduce ad una produzione finale, il momento.
Il risultato per me non è mai stato così interessante come i processi che conducono allo stesso.
Fin dalle origini, dai primitivi, le cui opere sono evidentemente differenti dalla natura, sino agli artisti come David, Ingres, che credevano di dipingere la natura com’è, l’arte è sempre stata arte e non natura.
E dal punto di vista dell’arte non ci sono forme concrete o forme astratte, ma solamente forme, le quali non sono altro che bugie convincenti.
È fuori dubbio che queste bugie sono necessarie alla parte mentale di noi stessi, perché è attraverso di loro che formiamo il nostro punto di vista estetico sulla vita.
La percezione istantanea di una tela, legata all’immediatezza del segno pittorico, alla ricerca dell’accostamento cromatico, compongono il risultato oggettivo della mia produzione, mentre ciò che è legato alla forma rimane per sempre nascosto ed inviolabile.
Semplicemente non adoro far partecipe delle emozioni che portano ad un’opera, ma lascio che le persone abbiano la possibilità di penetrare a loro modo la forma per poter dar vita ai loro desideri che da quella forma prendono energia.



Attualmente però lo spettatore è quasi sempre incapace di emozioni. Nell’opera d’arte cerca una mera imitazione della natura a scopo pratico (ritratti o simili), o un’interpretazione, cioè una pittura impressionistica, o infine degli stati d’animo rivestiti di forme naturali, vale a dire un’atmosfera, una Stimmung. Se queste forme sono veramente arte raggiungono lo scopo e diventano nutrimento spirituale, sia nel primo caso, sia soprattutto nel terzo caso, dove lo spettatore si immedesima con l’opera. Certo, l’immedesimazione (o la contrapposizione) non deve essere vacua o superficiale: anzi, l’atmosfera dell’opera deve rendere più coinvolgente e visionaria l’atmosfera in cui è immerso lo spettatore. In ogni caso queste opere impediscono all’anima di involgarirsi, e ne tengono viva la tensione come la chiave dell’accordatore tiene tese le corde di uno strumento. L’affinamento e la diffusione della loro voce nel tempo e nello spazio rimangono però un fatto soggettivo, che non esaurisce le potenzialità dell’arte.

Un edificio grande, grandissimo, piccolo o medio diviso in varie stanze. Alle pareti tele piccole, grandi, medie. Spesso, migliaia di tele. Su di esse il colore ha riportato frammenti di “natura”: animali in luce e in ombra, che bevono acqua, che stanno vicino all’acqua, sdraiati nell’erba; accanto ad essi una Crocifissione dipinta da un artista che non crede in Cristo, fiori, figure sedute o in piedi o in movimento, spesso nude, molte donne nude (spesso viste in scorcio di schiena), mele e vassoi d’argento, il ritratto dell’eminenza grigia N., un tramonto, una signora in bianco, vitelli all’ombra con macchie abbaglianti di sole, il ritratto di sua eccellenza Y., una signora in verde. Tutto è accuratamente riprodotto in catalogo: i nomi degli artisti, i titoli dei quadri. La gente tiene in mano, li sfoglia, legge i nomi passando da una tela all’altra. Poi se ne va, povera o ricca com’era venuta, ed è subito riassorbita dai suoi interessi che non hanno niente a che fare con l’arte. Perché è venuta? In ogni quadro è misteriosamente racchiusa un’intera vita, una vita piena di dolore e di dubbi, di ore di entusiasmo e di luce.
Dove va questa vita? Dove va l’anima dell’artista coinvolto nella creazione? Cosa vuole annunciare? “illuminare la profondità del cuore umano è il compito dell’artista”, dice Schumann. “Il pittore è un uomo che sa disegnare e dipingere tutto”, dice Tolstoj.

Tra le due definizioni dobbiamo scegliere la seconda, se pensiamo alla mostra che abbiamo descritto. Con maggiore o minore facilità, virtuosismo o brio, nascono sulla tela oggetti che hanno tra loro dei rapporti pittorici più o meno sottili. L’armonia d’insieme è la strada che conduce all’opera d’arte. Eppure quest’opera viene osservata con sguardi freddi e indifferenti. I conoscitori ammirano la fattura (come si ammira un acrobata) e gustano la pittura (come si gusterebbe una focaccia).
Le anime affamate restano affamate.
La grande massa gira per le sale e trova le tele “carine” e “meravigliose”. Chi poteva parlare non ha detto nulla e chi poteva udire non ha udito nulla.
È questa “l’art pour l’art”.
Questo annullare i suoni interiori, che sono la vita dei colori, questo disperdere nel vuoto le energie dell’artista è “l’arte per l’arte”.
Lo spettatore che si allontana inesorabilmente dall’artista che, non avendo per scopo quest’arte senza scopo, coltiva altri ideali.
La vita spirituale, di cui l’arte è una componente fondamentale, è un movimento ascendente e progressivo, tanto complesso quanto chiaro e preciso. È il movimento della conoscenza. Può assumere varie forme, ma conserva sempre lo stesso significato interiore, lo stesso fine.
(tratto da “LO SPIRITUALE NELL’ARTE – Wassily Kandinsky)


Cosi non esistono elementi comuni nelle mie produzioni, non è presente un fil rouge che ne identifichi un carattere ben distinto e marcato.
Sono frutto di sensazioni, di stimoli, d’interazioni con elementi mutevoli costituiti da logiche imprevedibili, forse in un certo senso anche aleatorie.
E quello che ne scaturisce non rappresenta altro che il mio attraversare quegli oggetti, quelle forme dando loro vita diversa, vita dai miei occhi.
So di amare profondamente una comunicazione fatta di molteplici modi d’espressione.
Ritengo che bisognerebbe dare forma alle proprie emozioni nel modo più giusto ed opportuno nel momento in cui vogliamo farlo senza limitare le capacità espositive ed espressive ad un solo linguaggio.
Una sorta di comunicazione globale.
Certamente una comunicazione più informale verso gli altri, ma una comunicazione più corretta verso noi stessi.

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